Siamo partiti dalle pianure del nord subito dopo pranzo, dopo aver attraversato gli Appennini in direzione Roma, salutammo Firenze e la nostra cultura. Le gomme rotolavano veloci sull’asfalto e l’Abruzzo si avvicinava….Tivoli e Villa Adriana mi riportarono per un momento all’epoca delle gite scolastiche, dei bei voti rubati e delle sculture romane; mi era persino venuto in mente il canone di Policleto e la differenza tra i capitelli Greci e Romani. Siamo entrati in terra d'Abruzzo poco prima delle sei di sera, dopo un piccolo briefing, abbiamo depositato i bagagli in un albergo di Carsoli e velocissimi abbiamo ripreso il furgone alla ricerca di una meta fotogenica… ho pensato: siamo in Abruzzo TUTTO è fotogenico.
Siamo stati attratti dall’indicazione “per le grotte di Pietrasecca”, e abbiamo seguito questa traccia. L’orario purtroppo non era nostro sostenitore, abbiamo quindi lasciato il mezzo e ci siamo addentrati nel vecchio borgo di Pietrasecca. Ogni volta che mi addentro in un borgo Abruzzese per fare foto, perdo la cognizione del tempo e dello spazio, cerco sempre di fondermi con il luogo che sto respirando, per carpirne i segreti e la sua storia. Il vento era forte e fischiava tra le case, mentre il cielo si scuriva il paese era vuoto, le porte chiuse e le finestre serrate, non c’era nessuno nei vicoli…. solo il vento.
Ma mentre camminavo alla ricerca dello scatto giusto, tra dati matematici: diaframma per tempi, tempi diviso focale moltiplicando tutto per ISO…. sentivo il paese che viveva, nel passato. Immaginavo i pastori che con il loro gregge serpeggiavano tra i vicoli, il cane si era fermato ad abbaiare per un istante ad un gatto che tranquillo passeggiava. Udivo le voci delle donne che tra una porta e una finestra si raccontavano la vita di qualcun altro, mentre i ragazzini ridacchiavano, rincorrendo un vecchio cerchione di bicicletta, un’anziana donna in nero, su di una piccola seggiola impagliata, ricamava all’uncinetto.
Annusavo i profumi che il vento portava di lenzuola appena stese, lavate con la cenere, cenere di quercia, cenere di quel camino da cui arrivava l’odore di una buona cena, di buoni sapori. La mia Canon si era trasformata in una macchina del tempo, guardavo nel mirino come in un caleidoscopio e mi chiedevo: solo io sento il vento che porta il richiamo disperato di questo paese? un paese che rivuole il suo gregge, i suoi figli, le sue donne e i suoi pastori…. Le nuvole avevano, nel frattempo, perso consistenza e colore, la luna piena illuminava il nostro cammino verso cena, verso il lavoro del giorno dopo che ci aveva portato li. Più tardi riguardai nel piccolo display della mia reflex le foto …. con sorpresa vidi che non c’era traccia di pastori, donne, lenzuola, pizzi e camini accesi…. per un istante ho visto le foto perdere i colori, poi ho pensato: non esiste matematica né obbiettivo per fotografare i sogni….
contributo di Juri Spadoni
click sulla miniatura per ingrandire